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venerdì 13 novembre 2009

URBAN GRAFFITI

Alla scoperta dell’arte degli “imbrattatori di muri”



In un panorama milanese alquanto contraddittorio, dove il Comune di Milano, prima investe milioni di euro per ripulire i muri cittadini “imbrattati” dai graffiti, (impiegando oltre 600 addetti Amsa) poi si scopre improvvisamente sensibile alla causa e decide di offrire spazi legali ai writers, perché non dare voce a chi è davvero il protagonista di questa movimento?
M. ha 28 anni e ci racconta cosa davvero significa essere writer.

Partiamo dalle origini, come sei entrato a far parte del movimento writer?
Premettendo che non esiste alcun "albo dei writers", se si iniziano a fare firme e pezzi si è automaticamente considerabili come writers. Io ho iniziato per gioco a 17-18 anni scimmiottando le tags (semplici firme sui muri) dei miei amici che già si dedicavano a questo: poi col tempo, ho preso la cosa sempre più seriamente fino a farla diventare una passione.
So che all'interno del movimento vi sono delle divisioni in sottogruppi differenti…potresti spiegarmi meglio in che cosa consistono?
Rimasta, diciamo, come tradizione la divisione in gang di quartiere nelle zone nere e ispaniche della New York degli anni 70, si usa aggregarsi in gruppi chiamati"crew"... ogni crew ha un suo nome, quasi sempre una sigla.
Gli elementi che fanno parte di una stessa crew sono legati di solito in un primo luogo da un rapporto di amicizia e solo dopo di affinità stilistica. Invece tra crews diverse, anche se sono comunque amiche, c’è sempre di base un certo spirito competitivo (ad es. la"gara" per l'appropriazione di un muro, la sfida a chi riesce a realizzare il lavoro più visibile etc….)
Le tante campagne e battaglie che il Comune di Milano ha fatto contro il cosiddetto “imbrattamento dei muri” partono dal presupposto che il writing in Italia è considerato a tutti gli effetti una pratica illegale. Ma writing e illegalità sono sempre inseparabili?
Precisando che la pratica del writing si divide fra pezzi realizzati su muri legali e fra quelli invece realizzati su strada (illegali), la componente illegale rimane comunque irrinunciabile; innanzitutto perché è all'origine del movimento - un ragazzo che si avvicina a questo mondo inizierà per la prima volta sempre facendo tag su muri, magari anche solo con un pennarello e solo dopo approderà su un muro legale - e poi, perché l'azione illegale può dare emozioni indipendenti dalla realizzazione del lavoro.
Quindi è una questione d’adrenalina?
...Lo scopo principale è quello di fare un pezzo il più bello possibile nel posto più visibile possibile; maggiore è il tempo impiegato e più il posto è "pericoloso"e maggiore è il rischio di essere beccati dalla polizia…..sta alla persona decidere poi quanto esporsi...ma è sempre emozionante conoscere e applicare vari "stratagemmi" per ridurre il rischio. E’ quasi una sfida ed è anche molto divertente
Finché però non vieni colto in flagrante…a cosa va incontro concretamente un writer in questo caso?
Dipende da che cosa si è stati colti a fare su strada la sanzione è puramente civile-multa di 202 euro - su treno, metrò e quant' altro le cose si complicano un po'….
In questi casi si potrebbe incorrere addirittura in un processo. Fortunatamente in Italia un processo per quest' accusa alla fine ha come conseguenza solo un'ammenda...anche se sicuramente più alta di 200 euro...
E tu pensi che a questo punto il gioco valga la candela?
No...però è difficile spiegare, la passione fa agire irrazionalmente. Forse solo un writer può davvero capire quello che dico...
Ponendo per assurdo che in Italia un giorno si desse tantissimo spazio ai writers concedendo un gran numero di muri su cui poter dipingere liberamente, voi come reagireste?
Sarebbe un sogno! Comunque credo che se legalizzassero (sempre per assurdo) tutti i muri del mondo eccetto uno, sicuramente quello sarebbe il primo ad essere dipinto...
Scherzi a parte, nessuno chiede la legalizzazione di una proprietà altrui, ma sarebbe comunque giusto concedere molti più spazi destinati alle opere legali: invece, nell'attuale amministrazione, avviene esattamente il contrario.
Fare il writer implica anche una qualche precisa connotazione politica o ideologica o è una cosa indipendente?
Un writer può essere di sinistra come di destra come di centro…è vero che nei primi anni (mi riferisco all'Italia) il movimento era molto legato ai centri sociali con conseguenti influenze, ma ora le cose sono un po' cambiate. C'è comunque uno spirito di base di sovversione nell'atto in sé, contro la spersonalizzazione dell'individuo e l'impossibilità di emergere e farsi conoscere. Altrimenti, anche di protesta contro (ma questo non per tutti) la sempre più massiccia appropriazione degli spazi da parte delle pubblicità il cui scopo, del resto, è lo stesso dei writers -farsi vedere il più possibile - ma permesso e concesso poiché ha una finalità economica.
Premettendo che spesso il writing, al di là del suo aspetto illegale, è additato come un atto "vandalico"e ingiustificato piuttosto che come “arte” quanto conta per te il giudizio di chi sta al di fuori del tuo ambiente ?
Io penso che chi si arrabbia perché qualcuno fa un bel pezzo colorato su un muro oggettivamente brutto e grigio, non si soffermi a pensare veramente alla cosa in sé, ma si lasci influenzare dal fatto che sia un atto illegale. E' sempre bello ricevere i complimenti dei passanti (capita addirittura anche di notte durante un'azione illegale)...ma l'opinione pubblica deve ancora essere sensibilizzata...mi rendo conto che vedere i muri pieni di tags non sia gradevole ma non bisogna fare di tutta l'erba un fascio
La percezione di molti cittadini rispetto alle tags è spesso in linea con l’idea che esse siano fatte puramente al fine di deturpare...ma qual’è il pensiero dei tanti writers che dipingono pezzi colorati riguardo alle tags?
Diciamo che chi si limita a fare le tags sono principalmente ragazzini che hanno appena iniziato, mentre posso assicurare che, raggiunto un certo livello, si fanno solo pezzi, anche per distinguersi da chi è capace di fare solo tags
Fare tags è comunque un passo iniziale per fare writing, solo molto più semplificato: se vedi bene infatti anche nella semplice tag c'è comunque un approfondimento della calligrafia e del movimento normale delle lettere. A me personalmente, come a qualsiasi altro writer, non danno fastidio perché anche una tag può essere bella e poi, fa sempre piacere, quando si è in giro, poter sempre avere qualcosa da guardare, giudicare e, perché no, anche da studiare…non pretendo però che sia così per tutti...m’immedesimo infatti in chi si lamenta e quindi non assolvo totalmente chi riempie di tags case e muri.
Tornando invece ai pezzi colorati, fino ad ora, mi hai parlato di "muri oggettivamente brutti e grigi"...ma che pensi di quei muri invece, oggettivamente belli, dipinti di fresco e puliti che spesso sono bersagliati alla pari di quelli cosiddetti brutti?
Non credere che davanti ad un muro appena riverniciato (mi riferisco però solo al caso di un muro condominiale) un writer non si faccia degli scrupoli…sta di fatto che però prima o poi qualcuno intaccherà questo muro. E comunque, nessuno mai riuscirà a convincermi che lo stesso muro, nuovo, pulito, verniciato e magari anche di un bel colore, non sia meglio con un bel pezzo sopra piuttosto che senza.
Passando al vero e proprio aspetto artistico di questa passione… per fare un pezzo, vi è dietro solitamente una preparazione più o meno lunga o il più delle volte l'opera viene fatta di getto?
E' necessario precisare che alle spalle vi è un lavoro di anni di vero e proprio studio della lettera e delle sue possibili evoluzioni; una volta raggiunto uno stile personale e definito è possibile , sia prepararsi prima una bozza, che andare in freestyle- cioè l'improvvisazione - Nei legali personalmente mi preparo sempre uno schizzo di quello che intendo fare, mentre negli illegali, per motivi di rapidità, è preferibile non utilizzare bozzetti, si può quindi impararsi la traccia a memoria piuttosto che improvvisare al momento.
Tu definisci i tuoi lavori arte?
«Chiaramente il concetto di arte è quasi filosofico;credo comunque che il writing sia arte al 100% in quanto è espressione creativa; ovviamente, essendo un fenomeno relativamente nuovo e soprattutto molto dissimile dalle precedenti forme d'arte, trovo molto più difficile la sua integrazione.»
Difatti, uno dei principali problemi del writing, è proprio la sua difficoltà di emergere in un contesto dichiarato "ufficialmente" artistico. Pensi che questa mancanza di riconoscimento dipenda più che altro dal suo aspetto illegale?
«No...un writer fa della città il proprio museo, espone le proprie opere agli occhi di tutti, ma non è l'approvazione collettiva quella che cerca, bensì il riconoscimento delle proprie capacità dalle sole persone che come lui condividono questa passione. Questo poiché i canoni di giudizio non sono i colori sgargianti che chiunque può notare, ma il sottile gioco tra le lettere e la loro evoluzione che solo chi si dedica a ciò può davvero comprendere. Quindi...non credo sia l' illegalità ad impedire la sua emergenza.»
Quindi, correggimi se sbaglio, tu credi che la gente comune non possieda i giusti "requisiti" per apprezzare?
«No...quello che intendo è che la gente comune possa sì apprezzare ma non comprendere»
Pensi che questa tua passione possa sfociare in qualcosa di più grande?
«Spero di non smettere mai, poiché per raggiungere livelli più alti è necessario la continua applicazione. E' comunque molto probabile che col passare degli anni convergerò sempre più verso un'attività esclusivamente legale, che resta comunque l'ambito in cui si può dare il massimo».

Giulia.B
(immagine tratta da www.keyone.it)

giovedì 5 novembre 2009

DALLE ROTATING TOWERS ALL’ENERGIA TASCABILE AL LITIO. Ecco come il progresso può sposarsi con la natura





Di questi tempi, verrebbe da dire, questa possibilità sembrerebbe più un’utopia che una realtà, in quanto, il progresso sembra piuttosto marciare contro la natura che svilupparsi al suo fianco.
Tra la minaccia di un riscaldamento climatico globale, l’aumentare giorno dopo giorno delle polveri sottili, l’estinzione d’insetti o d’animali indispensabili alla sopravvivenza dell’ecosistema, il moltiplicarsi, ad ogni angolo, di campi elettromagnetici irradiati dai cellulari, il futuro, più che roseo, appare piuttosto grigio.

Tuttavia, è bene ricordare che forse, c’è ancora una speranza per modificare questo destino, una speranza che però può essere concretizzata solo grazie alla cooperazione di coscienze, se non proprio “illuminate”, di sicuro più aperte all’utilizzo di energie alternative e alla ricerca di un’armonia con la natura.
Certo, una rivoluzione totale in questo senso è più facile a dirsi che a farsi perché, che lo si voglia o no, ormai si è tutti, chi più e chi meno, incastrati tra gli ingranaggi di una società moderna che impone determinati standard di vita difficili da abbandonare. Come si farebbe ormai a sopravvivere senza il cellulare o senza internet? E senza la macchina? Per vivere in questa società, si rischia di essere addirittura tagliati fuori dalle logiche quotidiane, nel caso non si possa accedere a questi mezzi. Dunque, se sfuggire alla modernità oltre che svantaggioso è anche impossibile, forse l’unica soluzione è riuscire usare questa modernità in favore dell’ambiente.

Gli esempi non mancano. Il sole e il vento, possono offrire all'umanità una quantità di energia inimmaginabile, se si pensa che in una sola ora d’irrorazione solare sull'intero pianeta l'energia elettrica prodotta supera di gran lunga l'energia elettrica consumata in un anno intero. Infatti qualcuno, talvolta in modo anche fantasioso, ha già utilizzato queste preziose risorse mettendo in pratica dei progetti ultramoderni seppure ecosostenibili.
Un esempio singolare e innovativo è senza dubbio quello della futura costruzione della “Rotating Tower” di Dubai, la prima torre interamente girevole al mondo ed energicamente autosufficiente. Oltre che offrire agli inquilini un panorama sempre diverso perché ogni piano girerà (ovviamente in modo molto lento) autonomamente, l’autore del progetto, David Fisher, spiega che le 48 turbine montate orizzontalmente tra un piano e l'altro e le celle fotovoltaiche che troveranno posto sui tetti dei singoli appartamenti, cattureranno l’energia eolica. Inoltre dei panelli solari, che saranno posizionati sui tetti di ciascun piano, durante la giornata, ruotando, rimarranno parzialmente esposti alla luce. In questo modo l’edificio non solo produrrà l’energia a sé necessaria, ma sarà anche in grado di venderla all’esterno. L’ultimazione dei lavori è prevista per il 2010 e anche se il costo previsto è di 700 milioni di dollari, le spese sarebbero poi ammortizzate nel tempo con la vendita dell’energia.

Ma anche dallo stesso versante dell’energia nucleare sembrano emergere proposte alternative più vicine alla sostenibilità ambientale. Alcuni scienziati americani sarebbero infatti riusciti a ricavare energia realizzando in laboratorio una fusione nucleare che utilizza dei cristalli di litio. La caratteristica che forse conferisce prospettive applicative ancora più notevoli e allettanti a questo processo è la sua “tascabilità”. Questo tipo di fusione nucleare, infatti, non necessita di grossi impianti e può essere facilmente impiegata anche su base “portatile”, in applicazioni persino domestiche. Per ora sembra che non ci sia alcun rovescio della medaglia; gli unici prodotti di scarto del processo infatti sarebbero soltanto dei neutroni. A questo punto quindi perché non investire sulle energie rinnovabili? Paesi europei come la Germania, l’Olanda e l’Inghilterra lo stanno già facendo da tempo. La Corea del Sud ha appena cominciato, l’Italia invece sembra essere ancora molto lontana.

Giulia B.


immagine tratta da:www.archiportale.com
Per saperne di più sul progetto Ficher:http://www.archiportale.com/progetti/SchedaProgetto.asp?origine=&IdProg=3354

PIOVE SUL NOSTRO AMORE. Una storia di donne, medici, aborti, predicatori e apprendisti stregoni

Autrice: Silvia Ballestra
Editore: Serie Bianca Feltrinelli (prima edizione: Settembre 2008)


«Con l’investitura dichiarata di difesa ad oltranza della vita, in realtà si fa passare l’ennesimo attacco alle donne, al loro corpo, alla sessualità e al potere riproduttivo. Insomma una musica già sentita e che si sperava di non dover sentire più ». Queste le parole che forse meglio descrivono lo spirito dell’ultimo libro di Silvia Ballestra; una travolgente inchiesta su un tema tanto scottante quanto attuale, quello dell’aborto e di tutto il mondo che lo circonda. Un mondo fatto – come ricorda lo stesso titolo – di donne, medici, predicatori e apprendisti stregoni, dove i movimenti per la vita si scontrano con quelli per la salvaguardia della legge 194, ottenuta tanto faticosamente dalle donne e ora ancora una volta messa in discussione. Silvia Ballestra s’inoltra fino alle pieghe più nascoste di questo mondo, passando dalle grandi città ai piccoli centri di provincia, dagli ospedali ai raduni politici e religiosi. Si confonde nella colorata manifestazione sindacale per l’8 marzo e poco dopo assiste incredula ad un irriconoscibile Giovanni Lindo Ferretti degli ex CCCP, sul palco di un raduno promosso dalla lista antiabortista di Giuliano Ferrara. Sensibile scrittrice e curiosa reporter allo stesso tempo, la Ballestra frequenta centri di formazione per volontarie del Movimento per la Vita. Condivide le sofferenze e le felicità delle donne nelle sale d’attesa dei consultori e, contemporaneamente, delinea un quadro estremamente completo di ciò che è l’aborto, cercando di non far dimenticare che esso, per la donna è prima di tutto dolore e sofferenza. E’ una sofferenza che stenta a passare anche nel corso di molti anni anni, perché appesantita da un senso di colpa altrettanto profondo. Il messaggio è chiaro: a chi accusa le donne di essere delle assassine perché hanno deciso di avvalersi di ciò che è un loro diritto, la Ballestra ricorda che sul corpo delle donne «non tutto si può dire, non tutto si può fare».

Giulia B.

mercoledì 4 novembre 2009

UOMINI CHE ODIANO LE DONNE


L'attrice Noomi Rapace in una scena del film (immagine tratta da blog.screenweek.it)

Regia: Niels Arden Oplev
Sceneggiatura: Nicolaj Arcel, Rasmus Heisberg
Attori: Michael Nyqvist, Noomi Rapace, Lena Endre, Sven Bertil Taube, Peter Haber, Peter Andersson, Marika Lagercrantz

Chi l’avrebbe mai detto che un film interamente scandinavo (prodotto e girato completamente in Danimarca e Svezia), con un cast quasi sconosciuto ai grandi schermi, avrebbe dato del filo da torcere ai colossi cinematografici Hollywoodiani?
E invece si può dire che il regista Niels Arden Oplev sia proprio riuscito nell’impresa, producendo un film che interpreta in maniera molto capace e fedele al romanzo omonimo, il primo dei tre volumi della trilogia di Stieg Larsson “ Millenium”. Stavolta i lettori si possono dire soddisfatti del film, cosa che accade sempre più raramente quando si cerca di sintetizzare un grande romanzo in 120 minuti di pellicola cinematografica.
Forse il merito è della figura centrale del thriller, una ragazzaccia hacker ricoperta di piercings e tatuaggi interpretata alla perfezione da una Noomi Rapace resa per l’occorrenza androgina e spigolosa, il cui oscuro e doloroso passato sembra continuare a condizionarle la vita. O forse il merito va all’argomento centrale del film - per l’appunto “gli uomini che odiano le donne”- un tema sorprendente per la sua attualità e antichità allo stesso tempo, come rivelano presto i passaggi del film. Infatti è proprio da una vicenda risalente al passato - oltre quarant’anni prima - che la storia si dipana, svolgendosi come una matassa attorcigliata dietro i cui nodi si celano scheletri nell’armadio, quasi difficili da credere per via della loro mostruosità.
Lisbeth Salander, la giovanissima hacker dalla conturbante ambiguità, sembra c’entrare molto poco con il giornalista economico in crisi Mikael Blomkvist (Michael Nyqvist) al quale viene affidata un’indagine, delicatissima e riservatissima, sulla scomparsa di una giovane donna avvenuta nel dopoguerra . Invece i due, oltre ad avere un’intesa singolare, si rivelano essere anche una squadra perfetta per fare luce sul torbido passato che incombe sulla potente famiglia a cui appartiene la ragazza scomparsa nel nulla.
La modernità s’intreccia continuamente col passato, rivelando non solo gli orrori e le follie della famiglia indagata ma anche le sofferenze, incredibilmente affini, dei due protagonisti. La maschera della ragazzaccia Lisbeth ad un certo punto crolla, dando l’opportunità allo spettatore finalmente di comprenderla nella sua complessità. Un disarmo che però dura poco, giusto il tempo di permetterci di capire che talvolta la durezza è l’unico modo per combattere un dolore lancinante che forse non guarirà mai del tutto. L’amore indubbiamente ha un ruolo decisivo, ma non è affatto il punto centrale del film e forse è anche a questo che si deve l’originalità della storia.
Per l’autunno 2009 è previsto il film del secondo romanzo della trilogia - “La ragazza che giocava con il fuoco”- la speranza è che l’abilità che il regista ha finora dimostrato, si riveli anche in questo secondo esperimento, senza scadere nella banalità del semplice sequel.

Giulia B.

venerdì 30 ottobre 2009

NEL CUORE DI CATANIA: una città dai volti contraddittori






Centro storico di Catania, siamo nei dintorni di Via Etnea, una delle vie più centrali e grandi di questa città che, assieme a Palermo, rappresenta un pezzo del cuore della Sicilia, una terra la cui bellezza è legata anche alla forte contraddittorietà che la caratterizza. Ed è proprio questa contraddittorietà che, una volta calati tra le vie del centro di Catania, non si può fare a meno di notare. Appena dopo gli stretti vicoli polverosi, che presentano ancora le tracce del vivo ed urlato mercato del pesce e della verdura avvenuto in mattinata, ecco partire la via ampia e commerciale Etnea, dove folle di persone, soprattutto il sabato pomeriggio, sono solite ritrovarsi per darsi allo shopping e alla passeggiata, il “passìo” come lo chiamano da queste parti. Le insegne dei più diffusi negozi d’abbigliamento come H&M, Zara o Benetton, dove folti gruppi di giovani fanno la fila per entrare, rimandano ad un mercato globale anonimo, che poco sembra c’entrare con l’atmosfera singolare delle viuzze laterali, dove il profumo dei panni stesi si mischia con quello pungente del pesce fresco e dove i bambini giocano ancora a calcio per strada.

Ed è proprio all’inizio di questa via, in piazza Stesìcoro, che, sabato 16 maggio, le voci delle eleganti signore in giro per acquisti e dei ragazzi a passeggio, sono state per qualche attimo coperte dagli slogan antimafia e antipizzo di un piccolo corteo di manifestanti. Il gruppo è partito alle 16 da piazza Dante, dove ha sede l’imponente facoltà di lettere e filosofia di Catania ed è terminato in questa piazza, a pochi passi dalla maestosa Villa Bellini.
La manifestazione, organizzata dall’associazione Addiopizzo, un movimento nato allo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica ad opporsi al raket mafioso, è una delle tante iniziative, in aumento soprattutto negli ultimi anni non solo Catania, svolte allo scopo di, come recitano i volantini che ci vengono distribuiti, “Aprire gli occhi per non morire”.
Aprire gli occhi, come anche ribadito dagli appelli esposti con vigore dai manifestanti, per non precipitare nel circuito dell’omertà e dei silenzi che purtroppo spesso e volentieri si fanno complici della mafia e della criminalità legata ad essa. Tra i partecipanti al corteo sono molte le facce giovani ma altrettante quelle adulte e navigate. Nonostante le persone siano poche, non più di una sessantina, gli organizzatori, sembrano soddisfatti, abituati – come ci dicono – a risultati ben più scarsi. Purtroppo, ci dice G., un giovane ragazzo universitario, la situazione a Catania è pesante perché la gente – i commercianti per primi - ha paura di esporsi di far sentire la propria voce; ma loro sono fiduciosi che un giorno le cose potranno cambiare perché il movimento sta crescendo. Ed ecco quindi un altro volto di Catania, quello che resiste e non si presta all’etichetta, spesso affibbiata alla Sicilia con eccessiva leggerezza, di terra inguaribilmente omertosa e mafiosa.

Quando la manifestazione volge al termine, ci allontaniamo, sullo sfondo delle strofe, intonate dai manifestanti, di una canzone la cui scelta non lascia davvero nulla al caso. Si tratta di “Canzone del maggio” di Fabrizio De André, il cui ritornello, “anche se voi vi credete assolti siete lo stesso coinvolti”, è cantato con maggior forza da tutti, in testa un bambino, sotto gli accordi di una vecchia chitarra sgangherata che continua a riecheggiare nell’aria anche una volta ci si sposta dalla piazza.

Ormai sono quasi le otto e l’imponente via Etnea sembra ancora più viva, forse perché finalmente il caldo sembra placarsi e permettere alla gente di passeggiarvi senza correre il rischio di prendersi la prima insolazione dell’anno. Nelle piccole vie laterali invece, il silenzio ormai regna sovrano, interrotto qualvolta, solo dall’abbaiare di qualche cane randagio.