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venerdì 15 gennaio 2010

Il gelo milanese contro il calore di un unico grido: Basta razzismo






Giovedi ore 18, piazza San Babila, Milano.
Nonostante il freddo pungente, una trentina di persone, per lo più appartenenti ad associazioni culturali di migranti - Un Altro mondo Onlus, Assocafe (Associazione Cultura Arte, Fuerza al Exterior)e Movimento Internazionale LibertAmerica - si sono riuniti nella speranza di sensibilizzare i distratti passanti alla necessità, ora più che mai, di abbracciare una cultura antirazzista e della fratellanza.

Dopo i fatti di Rosarno, dove si è sfiorato lo scoppio di una guerra civile tra i poveri con l'aggravante dell'odio di "razza", una serie di associazioni ed enti che operano su più fronti (dalla difesa dei diritti umani, del lavoro e della politica) ha indetto un ciclo di presidi, manifestazioni e incontri per sensibilizzare l'opinione pubblica così da scongiurare che si ripetano altri dolorosi fatti come quelli accaduti in Calabria.
Tutto è cominciato con il presidio di lunedi 11, indetto da CGIL, CISL E UIL dove hanno aderito moltissimi volti, da associazioni per la difesa dei diritti umani e della salute come Emergency a partiti politici come Rifondazione Comunista, fino ad arrivare a cittadini autonomi.

Il secondo appuntamento lanciato dalla rete di solidarietà era proprio quello di giovedi 14.
Ed è in questa freddissima serata milanese che uomini e donne, per la maggior parte originari dell'America Latina, tra un volantino e l'altro, han creato diversi colorati cartelloni con frasi semplici ma incisive. Un ragazzo mostra fieramente un cartellone "montato"su se stesso che dice "Straniero è l'altro che vive in noi", un altro invece recita "Contro il razzismo e la violenza, giustizia sociale ed accoglienza". Insomma slogan che nella loro semplicità nascondono però un messaggio che, ad oggi, sembra tutt'altro che semplice da trasmettere.

I fatti di Rosarno ricordano che il razzismo, talvolta sottovalutato anche dalle stesse istituzioni, in Italia esiste eccome e, cosa ancor più preoccupante, può andare a braccetto con realtà malavitose organizzate radicate nel territorio.
Ma Rosarno è solo una dei tanti luoghi in cui i diritti del lavoro e della vita civile vengono calpestati, lo sfruttamento esiste in tutta Italia, solo che non fa scalpore perché ancora non si è arrivati, come in Calabria, all'esasperazione.
I passi che ci si aspetta vengano fatti dopo questi avvenimenti sono tanti: da una parte contrastare ogni forma di razzismo, dall'altra tutelare maggiormente i lavoratori e, cosa non da meno, impedire che il lavoro in nero si possa anche soltanto formare.
Questo perché, in un paese dove un agricoltore prende 5 cent a cassetta di arance, purtroppo non è cosa difficile che lo stesso agricoltore ricorra al lavoro in nero.
G.B

per info sulle associazioni citate:

http://www.unaltromondo.it/
http://www.emergency.it/
assocafe@hotmail.it

mercoledì 13 gennaio 2010

Stranieri in lombardia :NON E' LA RELIGIONE A DETERMINARE L'INTEGRAZIONE

Di questi tempi, dove la maggior parte dei comuni lombardi, in testa la Lega, prosegue la sua crociata contro costruzione di eventuali moschee e qualcuno addirittura propone di impiegare denaro pubblico “per convertire gli immigrati islamici al cristianesimo cattolico” ( parole di Matteo Salvini della Lega Nord) le ultime statistiche effettuate dall’ORIM (Osservatorio Regionale per l’Integrazione e la Multietnicità) rivelano che affinità religiosa non significa maggiore facilità d’integrazione.

Questo il risultato delle ricerche pubblicate nel 2009 (con rif. All’anno 2008) sulla popolazione straniera in Lombardia, le quali, testimoniano che non esiste, a dispetto di quanti forse lo credono, un legame effettivo tra diversità di religione d’appartenenza e integrazione nella società Italiana. Infatti, la popolazione che presenta più difficoltà nel percorso d’inserimento - con un indice d’integrazione dello 0.34 - è quella Ucraina di religione cristiano-ortodossa. Molto importante, invece ai fini dell’integrazione, è il titolo di studio raggiunto, il rapporto con la famiglia e l’età in cui l’emigrato è entrato nel paese ospitante. Sono invece fattori indipendenti dall’individuo quali, razzismo, situazione lavorativa e contesto sociale ad influenzare, per più della metà, l’inserimento nella società. Emerge infatti che l’integrazione vada di pari passo con la stabilità lavorativa, domiciliare e familiare.

Le ultime ricerche svolte registrano la maggior parte degli episodi di razzismo proprio nell’ambito scolastico, in particolare nel periodo della scuola secondaria di primo grado e secondaria di secondo grado. E’ proprio alle superiori e alle medie, che si riscontra più del 30% degli abbandoni, ritardi e insuccessi scolastici. Dato non irrilevante, se si considera che il 50% degli alunni d’origine straniera, risultano iscritti nelle scuole di Milano. Infatti, secondo i dati ISTAT riferiti al giugno 2009, dei quasi 4 milioni di stranieri presenti in tutta Italia, solo la Lombardia ne possiede circa il 25%. Brescia supererebbe in presenza straniera le altre province di Milano, per via della numerosità delle industrie presenti sul territorio.

Cifre quindi che parlano chiaro: la Lombardia è una delle regioni a maggiore densità migratoria, soprattutto negli ultimi anni.

G.B

per ulteriori info:
www.istat.it, www.ismu.org/ORIM/

venerdì 8 gennaio 2010

LA REGOLA DELLO STAGE: Più ore gratis che pagate, rare le assunzioni




Questo il “ritratto dello stage” che delineava un’indagine, svolta nel dicembre 2007 dall’Associazione GIDP, (Gruppo Intersettoriale Direttori del Personale) su un campione di 2000 stagisti e 100 imprese italiane. Tale ricerca si era resa necessaria dopo l’allarme lanciato dalla Commissione Europea sull’abuso dello strumento dei tirocini e l’annuncio successivo d’immediati provvedimenti.

Dall’indagine emergeva che il 40% degli stagisti intervistati non aveva percepito alcun rimborso o compenso economico dall’azienda e che solo il 10% aveva ottenuto un rimborso inferiore ai 200 euro. Inoltre, un terzo di essi sosteneva di aver lavorato più di 43 ore settimanali.

Numeri che pesano maggiormente se si considera che molti corsi di laurea prevedono nel piano di studi dei tirocini obbligatori, ai quali quindi lo studente non può sottrarsi se vuole ottenere il titolo di laurea.


LE AZIENDE


Come si apprende dal D.M. n-142 del 1998 che regolamenta le attività di tirocini e stage formativi, è sì vero che lo stage non comporta alcun obbligo retributivo da parte delle aziende solo una, ma è altresì implicito che lo stagista, come confermato anche dagli stessi responsabili degli uffici stage degli atenei, non superi le 40 ore settimanali “legali”di lavoro.
Invece, il 12% degli intervistati per l’indagine, dichiarava di aver lavorato più di 48 ore alla settimana.
Il 51% degli intervistati denunciava inoltre di non essere stato inserito in alcun progetto formativo, ovvero l’insieme delle attività e degli obiettivi da perseguire che il tirocinante firma, in accordo con le aziende e l’università, prima dello stage. Infine, il 55% degli intervistati dichiarava di non aver ricevuto, al termine dello stage, alcuna proposta di contratto occupazionale.
Cifre quindi che parlano chiaro e confermano il fondamento dell’allarme lanciato nel 2007 dalla Commissione Europea.

A seguito della serie d’interventi preannunciati a partire dal 2008, per regolare l’uso dello stage, la domanda che sorge spontanea è se davvero qualcosa sia cambiato.

Una prima risposta, in attesa della prossima e quarta indagine pre-estiva annuale sui giovani stagisti da parte del GIDP, viene dall’ultima ricerca, solo sulle aziende, svolta a maggio 2009 dal medesimo ente.
L’indagine, condotta su 160 aziende medio-grandi perlopiù del Nord, informa che solo una di queste su 5 ha intenzione di assumere ma che ben il 76% pensa di ricorrere agli stage.

Così confermano anche la dott.ssa Veronica L. e la dott.ssa Annalisa C. dell’ufficio Job Placement dell’Università agli Studi Milano-Bicocca, che sottolineano «la richiesta mensile di stagisti da parte delle aziende al nostro ateneo, talvolta arriva anche al centinaio ».
Inoltre, da un’indagine svolta nel periodo compreso tra Aprile 2007 e Dicembre 2008 dallo stesso Ufficio Job Placement, risulta che, su 334 stage conclusi, solo 72 hanno avuto come esito l’offerta di un contratto di lavoro da parte dell’azienda ospitante.

Il problema, prosegue la dott.ssa Annalisa C., è che c’è una tendenza maggiore da parte delle aziende a prorogare i tirocini piuttosto che decidere di trasformare la relazione di stage in un rapporto di lavoro.
Infatti, mentre la legge stabilisce che il massimo della durata di uno stage, almeno in ambito universitario è di 12 mesi con lo stesso progetto formativo, non specifica affatto alcuna limitazione all’azienda in termini di progetti formativi diversi. Il rischio quindi è che l’azienda “passi di stagista in stagista” e che il tirocinante passi da uno stage all’altro senza riuscire ad avere mai un contratto di lavoro a tutti gli effetti.
Infatti, secondo il rapporto ISTAT 2007 sui neolaureati e il mercato del lavoro, soltanto poco più del 40% del totale dei laureati risulta avere un contratto a tempo indeterminato. La dilatazione dei tempi che consegue all’eccesso dell’offerta stage da parte delle aziende, rende poi ancora più lontana una vera e propria immissione nel mercato del lavoro.
Ma non è finita qui: visto che la conseguenza è che l’immissione nel lavoro avvenga in età già avanzata, il rischio è che nella maggior parte delle aziende - che richiedono alle nuove leve anni d’esperienza ad un’età bassa - non ci sia poi alcuna possibilità d’inserimento.

LE UNIVERSITA’


Il ruolo dagli Uffici Job Placement - che si occupano di gestire stage extracurriculari (quindi non sono compresi i tirocini obbligatori) per laureandi e neo-laureati delle università statali, è molto simile a quello di una normale agenzia che si fa intermediaria dell’incontro domanda-offerta. Alle aziende, per farsi promotori di stage, occorre soltanto mandare una mail all’ufficio con un annuncio sull’offerta.
Sono poi i Job Placement ad inviare l’annuncio ai ragazzi, di cui è stata fatta una preselezione sui curriculum in base alla richiesta dell’azienda.
A quel punto, i ragazzi possono decidere se mettersi o meno in contatto con l’azienda personalmente. Da quel momento, le competenze dell’università terminano anche se il laureando o neolaureato può comunque scegliere d’informare l’università sullo svolgimento dello stage. La necessità di una relazione finale ha riguardato soltanto il Progetto FIxO (un progetto che prevede al termine dello stage, un rimborso spese erogato dall’ateneo grazie a fondi stanziati dal Ministero del Lavoro) perché per avere il rimborso era obbligatoria una sintesi precisa dell’esperienza di stage sia da parte dello studente che dell’azienda.

Per quanto riguarda invece gli Uffici Stage degli atenei (ogni ateneo ne ha infatti uno centrale e poi, diversi “periferici” per facoltà) che si occupano unicamente degli stage intracurriculari - quindi previsti per lo più dal piano studi - la procedura è leggermente diversa.
L’azienda interessata a proporre uno stage o tirocinio si registra nel portale stage dell’università e, se questa accetta la proposta e il progetto formativo che l’azienda illustra, allora si stipula una convenzione tra le due parti, da entrambi firmata anche della durata di anni.

Come sottolinea la sig.ra B., unica referente attuale dell’Ufficio Stage Centrale dell’Università Milano-Bicocca, in questo caso, i ragazzi che vogliono iniziare uno stage sono obbligati, al termine di esso, a consegnare una relazione finale e lo stesso devono fare le aziende. Quindi in un certo senso, si può dire che lo stagista intracurriculare sia maggiormente seguito rispetto a quello extracurriculare.

Entrambi gli uffici sottolineano che però lo stagista, sia intracurriculare che extra, ha tutto il diritto, nel caso non vengano rispettati i presupposti che stanno all’origine del rapporto di tirocinio, di abbandonare lo stage quando e se lo ritiene opportuno.
«Spesso è successo che i ragazzi ci chiamassero per chiederci come fare con degli stage che stavano andando male e la prima cosa che di solito suggeriamo è sempre di parlare direttamente con il responsabile aziendale del tirocinio per cercare di risolvere il problema. Se poi questo non funziona ovviamente l’indicazione è di abbandonare immediatamente lo stage» spiegano le referenti dell’Ufficio Job Placement.
Pare dunque che le università, davanti a casi d’abbandoni o di malcontenti, non prendano alcun particolare tipo di provvedimento contro le aziende interessate ma si limitino a consigliare allo studente di abbandonare lo stage o al massimo «Mettere in guardia il prossimo stagista che si propone per il tirocinio da quell’azienda». Questo perché, sostengono i referenti degli uffici preposti, a meno che il problema non sia reiterato e oggettivamente grave, «noi non possiamo intervenire più di tanto sull’azienda».

Ma cosa pensano i ragazzi, protagonisti e vittime di questa situazione?


V. 27 anni di Milano, stage presso una fondazione di conservazione dei beni cinematografici, appena laureata in Scienze dei Beni Culturali alla Statale di Milano.

Sei mesi di stage di cui tre senza rimborso spese e come unica proposta d’assunzione un contratto a progetto di sei ore giornaliere, cinque giorni su sette+due week end al mese compresi, il tutto a 450 euro mensili.«Mi è stato detto che per loro era così e che se a me non andava bene, ne avrebbero trovati altri mille che avrebbero accettato al mio posto».

F. 27 anni di Milano, al terzo tirocinio obbligatorio per potere diventare maestra alla scuola dell’infanzia, è laureanda in Scienze Della Formazione Primaria all’Università Bicocca di Milano

Sei mesi di tirocinio obbligatorio senza alcun compenso o rimborso e, tra materiale didattico ed extra, quasi 70 euro di spese. «Reputo il mio lavoro una passione ma non si vive di solo quello »

G. 27 anni di Milano, stage presso un’associazione per le pari opportunità, si è appena laureata in Scienze Etnologiche e Antropologiche presso l’Università Bicocca di Milano

Tre mesi di stage senza rimborso spese, c’è il suo nome su un’importante ricerca sulla condizione femminile in Lombardia ma al termine dello stage nemmeno una proposta di collaborazione. «Io pensavo che un ente così sensibile ai problemi occupazionali della donna fosse coerente con i principi che difende, ma evidentemente mi sbagliavo»

M. 30 anni di Calco (LC), tirocinio obbligatorio per laurearsi in Disegno Industriale al Politecnico di Milano, ora impiegato a tempo indeterminato in un’ azienda di prodotti multimediali

250 ore di tirocinio presso un’azienda che si occupa di traduzione e recensione di testi multimediali senza alcun rimborso spese e al termine nessuna proposta lavorativa.«Le leggi vanno modificate, lo stage dovrebbe essere finalizzato ad inserirti in un’azienda che ha interesse a puntare su di te. Così, anche se impari delle cose nuove mi sembra una cosa fine a se stessa se non in alcuni casi addirittura uno sfruttamento»


L. 33 anni di Roveda (Mi), tirocinio obbligatorio per laurearsi in Disegno Industriale al Politecnico di Milano, ora impiegata a tempo indeterminato in una multinazionale che si occupa di occhialeria

Tre mesi di stage con un rimborso spese di 300 mila lire (circa 150 euro attuali) presso un’azienda che si occupa di progettazione di gioielli e al termine nessuna proposta lavorativa. « Quando il mio progetto è andato in produzione mi han detto chiaramente che non ci sarebbe stato il mio nome perché questa era la loro “politica interna”».

Questi solo alcuni assaggi del grande malcontento che regna tra gli ex e gli attuali stagisti.

Ma alle critiche si affiancano anche molte proposte. Alcuni dei ragazzi suggeriscono che sarebbe opportuna una legge che ponga “un limite allo stage e agli stage”, altri ancora pensano sia necessario fissare almeno un tetto minimo di rimborso spese a stage, sotto il quale le università non dovrebbero accettare l’offerta di tirocinio dall’azienda. «Anche se siamo degli studenti al momento dello stage, facciamo pur sempre un lavoro che se non fosse fatto da noi dovrebbe essere fatto da qualcun altro a pagamento, quindi perchè non darci nemmeno un rimborso spese?» replica V. «Qui non si sta parlando di avere addirittura uno stipendio, nessuno lo chiede né lo esige, chiediamo solo un minimo di rimborso per quello che ci troviamo a spendere, è una cosa molto diversa» precisa F.
La maggior parte dei ragazzi infatti reputa che lo stage possa essere una buona risorsa, molto utile ai fini di apprendimento personale, soltanto però se adeguatamente regolarizzata.
Ma cosa possono fare nel frattempo i futuri stagisti a parte non smettere mai di chiedere a gran voce una maggiore tutela? Forse le parole di V. possono fungere da valido consiglio « Quando cominci uno stage è necessario porre dei paletti: l’eccessiva disponibilità infatti rischia di essere un’arma a doppio taglio che legittima lo sfruttamento».

G.B

Per chi fosse interessato ad essere a conoscenza dei diritti e delle esperienze degli stagisti, invito a visitare questo sito:
http://www.repubblicadeglistagisti.it/


*immagine tratta da http://jobtalk.blog.ilsole24ore.com/jobtalk/images/2008/05/13/stage_fine_bassa.png

martedì 5 gennaio 2010

Un po' di sana satira al vetriolo

CONCORSI PUBBLICI TRUCCATI? UN RAGIONEVOLE DUBBIO

Che ci si trovi al centro della fredda Milano o della Napoli “anema e core”, la storia dei concorsi pubblici truccati è convinzione condivisa ormai da molti, soprattutto da coloro che almeno una volta nella loro vita hanno tentato l’ingresso nel fantastico mondo del pubblico impiego. Abituati, di questi tempi, alle continue bastonate del ministro Brunetta sui tanti “fannulloni” impiegati nella pubblica professione, verrebbe quasi da dire “ve l’avevo detto” ma forse, a questo punto, la questione merita una riflessione più ampia e soprattuto, a monte.

Se è vero che il mondo del pubblico impiego è pieno di fannulloni, forse la domanda che bisognerebbe farsi è in che modo, tali “mangiapane a tradimento” siano riusciti a ricoprire cariche sicure e rispettabili, suscitando l’invidia della maggior parte dei nuovi lavoratori che si trova a passare da contratti di tre mesi in tre mesi per anni o a fare stage non retribuiti fino a quaranta anni. Ma soprattutto, c’è da chiedersi, come abbiano fatto a scalzare quella miriade di persone oneste, preparate, ma haimé e senza “santi in paradiso”, che ogni giorno tentano di superare i concorsi pubblici del tutto invano. Piuttosto che puntare il dito sui fannulloni e basta, non sarebbe forse il caso di mettere in discussione l’intero sistema di selezione che presenta sempre di più falle e favoritismi in maniera per nulla velata, anzi eclatante? Ecco alcuni esempi.
Ci troviamo a Milano, durante un concorso per titoli finalizzato ad assegnare un posto lavoro a tempo determinato per tre anni presso una delle più importanti Università statali di Milano. I candidati sono solo 5 e la graduatoria per titoli non supera i 3-4 punti a persona. Una ragazza, si presenta alla commissione dicendo che il suo nome non è nella graduatoria e che quindi ci dev’essere un errore perché lei si è regolarmente iscritta inviando il bollettino(condizione indispensabile senza la quale non sarebbe possibile presentarsi alla maggior parte dei concorsi pubblici). Non si sa come, alla fine la ragazza viene accettata lo stesso dopo che il personale di valutazione inscena quasi quaranta minuti di titubanza, sparizioni e ritorni per andare alla ricerca del “bollettino” perduto (che ovviamente poi viene ritrovato).
Dopo i colloqui, in cui si distinguono per bravura due ragazzi che dimostrano di essere preaparatissimi all’argomento, il verdetto è che la suddetta ragazza, che aveva tenuto un colloquio mediocre, viene dichiarata la vincitrice del concorso. Supera addirittura coloro che erano partiti con un punteggio maggiore in graduatoria e tra l’altro, la sommatoria dei suoi punti non viene nemmeno resa nota da subito ma solo resa pubblica alla fine, insieme al punteggio finale che comprende anche l’orale.
Se questo racconto non è bastato a rendere l’idea, eccone un altro.

Ci troviamo a Pavia, durante un concorso per titoli finalizzato ad assegnare un posto a tempo indeterminato presso un ente comunale, nel settore dell’ufficio stampa. I concorrenti addiritura stavolta sono due. Sta per cominciare il colloquio, quando all’ultimo momento compare un terzo concorrente venuto dal nulla, senza addosso nemmeno una giacca che sembrerebbe semplicemente sceso dal piano di sopra. E’ il primo ad essere sentito (a porte chiuse) e successivamente vengono ascoltati anche gli altri due che dichiareranno poi che il colloquio è andato “molto bene”. Bene, il vincitore del concorso è proprio il terzo e “ritardatario” concorrente.
Se anche questo non basta si potrebbe aprire una lunga parentesi sui concorsi di dottorato, ma questo richiede molto spazio e un approfondimento ad hoc. Ad ogni modo, basterebbe aver seguito qualche volta trasmissioni d’inchiesta come Report et similia per farsi un’ idea molto concreta di quello che ci sta dietro.

Insomma i fannulloni ci sono ma perché qualcuno ha interesse che ci siano, altrimenti si impiegherebbero molte più energie per cambiare realmente le cose al principio, non soltanto cercando di punire una categoria, ma piuttosto cercando di impedire che la categoria “fannulloni” si formi in maniera del tutto indisturbata.
Come dice un detto, è sempre meglio prevenire che curare.
G.B