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mercoledì 6 ottobre 2010

"PRENDI LA LAUREA E VEDRAI CHE AVRAI UN LAVORO MIGLIORE" Andatelo a dire alla metà dei laureati...

.....Infatti, secondo l'ultimo rapporto 2010 Di Almalaurea (un consorzio
interuniversitario alla cui banca dati aderiscono 60 atenei italiani) , solo il 48,7% dei laureati in Italia sarebbe occupato. Il restante 51.3% si dividerebbe tra persone che sono alla ricerca di un lavoro (quasi il 18%) e persone che dopo la laurea svolgono un'attività di formazione e di tirocinio.

Per cui addio alle buone aspettative dei genitori verso i propri figli "acculturati", addio alle belle speranze dei ragazzi su un futuro roseo e pieno di riconoscimenti per i lunghi anni (in aumento soprattutto dopo la riforma universitaria del 3+2)trascorsi sui libri, la realtà è ben altra.

Forse un tempo laurearsi facilitava nella ricerca di un lavoro e soprattutto dava la possibilità di averlo anche maggiormente retribuito ma, ad oggi, tutti i segnali portano a pensare che sia esattamente il contrario.

C'è chi passa di stage in stage gratuiti o scarsamente retribuiti, dove, se va male s'imparano soltanto a fare 30 caffè o 40 fotocopie al giorno e se va bene si sviluppano anche dei buoni progetti di tirocinio ma al termine dei quali non v'è alcuna speranza di assunzione.
C'è chi dopo una laurea specialistica da 110 e lode rinuncia a cercare un'occupazione in linea con i suoi studi e i suoi interessi perché si rende conto che nel mercato del lavoro la propria specializzazione vale meno di zero.
Dall'altra parte c'è chi fugge all'estero,o chi ancora, grazie a qualche "santo in paradiso" ha la fortuna di trovare un buon posto e discretamente pagato: In Italia infatti, tra i lavoratori laureati, circa il 55% risulta avere trovato un posto grazie a conoscenze o contatti personali (indagine Stella 2009)

Ma dove è finita la vecchia regola "studia che ti serve?" Probabilmente tale legge è valida solo per se stessi, per l'arricchimento della propria cultura personale, ma purtroppo non vale altrettanto per il mondo del lavoro.

Non sarebbe forse il caso, visto i tempi che corrono, che qualcuno mettesse in guardia i futuri lavoratori della trappola del futuro?
In alternativa anche mettersi al tavolo per trovare delle soluzioni al problema sarebbe già un grande passo.
Tanto per cominciare regolarizzare l'uso spropositato degli stage e tirocini, limitandolo quantomeno al periodo universitario, di modo che non si verifichino casi come quello di persone che a quarant'anni, dopo aver perso il lavoro, si ritrovano a dover fare uno stage piuttosto che restare a casa. Purtroppo questo non è una fantasia ma la realtà ed è raccontata molto bene da un libro autobiografico di Andrea Bove "Stagista a quarant'anni" Edizioni Riccadonna che senza dubbio fa riflettere molto seriamente sulla crisi che stiamo vivendo.

Un'altra possibile soluzione potrebbe essere fare in modo che gli atenei preparino e introducano DAVVERO gli studenti al mondo del lavoro di modo che una volta fuori non si trovino, come spesso accade, del tutto spaesati e spaventati di fronte alla "giungla" dei migliaia di contratti atipici o di "non contratti" che si usano con sempre maggior leggerezza nel nostro paese. Ma anche per questo ci vuole chiaramente una seria volontà di cambiare le cose.

G.B

link utili:
http://www2.almalaurea.it/cgi-php/lau/sondaggi/intro.php?config=occupazione

http://www.repubblicadeglistagisti.it/article/stagista-a-quarantanni

http://resistenzaumana.it/rubriche/diversamente/laureati/

2 commenti:

  1. Giulia, concordo con quello che dici, ma ho la "fortuna" di non aver mai concepito l'università come un ente professionalissante, ma più come un luogo di acculturamento.
    questo mi ha vagamente preparata, al termine degli studi universitari, al fatto che la laure non era un punto di arrivo ma di partenza, e che anzi, iniziavano le salite più impervie.
    quello che scoccia veramente è che ora, a 7 anni dalla laurea, dopo tirocini, corsi di formazione, esami di stato etc. sono un avvocato.
    E guadagno meno... meno di una velina? meno di un calciatore? meno di un gieffino?
    No: guadagno meno di una cassiera o di una donna delle pulizie (non sto scherzando, purtroppo).
    Cosa rimane? La passione per il lavoro, la consapevolezza che cmq davvero con il mio lavoro aiuto la gente e... un buon occhio all'economia domestica per arrivare a fine mese! ;-)

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  2. Beh direi che la passione per il proprio lavoro puo' rendere anche il lavoro più sottopagato sopportabile...

    ma che succede se oltre ad essere sottopagati non si fa nemmeno il lavoro che ci soddisfa? E con questo non voglio per forza parlare del lavoro della propria vita ma semplicemente di un lavoro che ci appaghi....
    al giorno d'oggi il mercato del lavoro pullola di false promesse, e di aitanti illusioni...ti chiamano per uno stage dalle prospettive formative interessantissime e poi ti ritrovi a fare caffè o a stampare fotocopie...ti "scelgono" per un lavoro per quanto sottopagato molto "eticamente corretto e dai contorni super morali"(vedi mio articolo sul no profit) e poi ti accorgi che invece di etico non ha niente, anzi è peggio che negli ambienti dichiarati espressamente Profit...
    Questa non è solo la mia esperienza ma quella di molti giovani laureati speranzosi di fare qualcosa nella vita che "serva"...

    Sono molto felice per te che hai trovato la tua dimensione e sicuramente, per avere la passione nel proprio lavoro probabilmente baratterei anche io un lavoro magari molto più profumatamente pagato ma quello che sconforta è che per la maggior parte non è cosi'...
    Cmq Grazie del commento!fa sempre piacere davvero leggervi!
    A presto!
    G.

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