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mercoledì 4 novembre 2009

UOMINI CHE ODIANO LE DONNE


L'attrice Noomi Rapace in una scena del film (immagine tratta da blog.screenweek.it)

Regia: Niels Arden Oplev
Sceneggiatura: Nicolaj Arcel, Rasmus Heisberg
Attori: Michael Nyqvist, Noomi Rapace, Lena Endre, Sven Bertil Taube, Peter Haber, Peter Andersson, Marika Lagercrantz

Chi l’avrebbe mai detto che un film interamente scandinavo (prodotto e girato completamente in Danimarca e Svezia), con un cast quasi sconosciuto ai grandi schermi, avrebbe dato del filo da torcere ai colossi cinematografici Hollywoodiani?
E invece si può dire che il regista Niels Arden Oplev sia proprio riuscito nell’impresa, producendo un film che interpreta in maniera molto capace e fedele al romanzo omonimo, il primo dei tre volumi della trilogia di Stieg Larsson “ Millenium”. Stavolta i lettori si possono dire soddisfatti del film, cosa che accade sempre più raramente quando si cerca di sintetizzare un grande romanzo in 120 minuti di pellicola cinematografica.
Forse il merito è della figura centrale del thriller, una ragazzaccia hacker ricoperta di piercings e tatuaggi interpretata alla perfezione da una Noomi Rapace resa per l’occorrenza androgina e spigolosa, il cui oscuro e doloroso passato sembra continuare a condizionarle la vita. O forse il merito va all’argomento centrale del film - per l’appunto “gli uomini che odiano le donne”- un tema sorprendente per la sua attualità e antichità allo stesso tempo, come rivelano presto i passaggi del film. Infatti è proprio da una vicenda risalente al passato - oltre quarant’anni prima - che la storia si dipana, svolgendosi come una matassa attorcigliata dietro i cui nodi si celano scheletri nell’armadio, quasi difficili da credere per via della loro mostruosità.
Lisbeth Salander, la giovanissima hacker dalla conturbante ambiguità, sembra c’entrare molto poco con il giornalista economico in crisi Mikael Blomkvist (Michael Nyqvist) al quale viene affidata un’indagine, delicatissima e riservatissima, sulla scomparsa di una giovane donna avvenuta nel dopoguerra . Invece i due, oltre ad avere un’intesa singolare, si rivelano essere anche una squadra perfetta per fare luce sul torbido passato che incombe sulla potente famiglia a cui appartiene la ragazza scomparsa nel nulla.
La modernità s’intreccia continuamente col passato, rivelando non solo gli orrori e le follie della famiglia indagata ma anche le sofferenze, incredibilmente affini, dei due protagonisti. La maschera della ragazzaccia Lisbeth ad un certo punto crolla, dando l’opportunità allo spettatore finalmente di comprenderla nella sua complessità. Un disarmo che però dura poco, giusto il tempo di permetterci di capire che talvolta la durezza è l’unico modo per combattere un dolore lancinante che forse non guarirà mai del tutto. L’amore indubbiamente ha un ruolo decisivo, ma non è affatto il punto centrale del film e forse è anche a questo che si deve l’originalità della storia.
Per l’autunno 2009 è previsto il film del secondo romanzo della trilogia - “La ragazza che giocava con il fuoco”- la speranza è che l’abilità che il regista ha finora dimostrato, si riveli anche in questo secondo esperimento, senza scadere nella banalità del semplice sequel.

Giulia B.

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